di Ferdinando Moliterni
POTENZA - Si protrae fino al 10 giugno la Mostra «I dipinti di contenuto sociale», costituita da nove opere di Carlo Levi, esposte nella Biblioteca Nazionale di Potenza. La mostra fa parte del macroevento «Carlo Levi. La Storia che ci appartiene. La sua arte. Il suo pensiero», creato per celebrare la figura umana e storica di Levi a 40 anni dalla sua scomparsa, a 70 anni dall'uscita del romanzo «Cristo si è fermato ad Eboli», a 80 anni dall'inizio del suo confino in Basilicata. Personalmente, la scoperta del Levi pittore è stata di molto posteriore rispetto a quella del Levi scrittore. Avvenne soltanto tre anni fa quando mi recai ad un convegno dedicato a Levi nel quali i relatori, con mio piacevole stupore, descrissero ampiamente la vicenda pittorica del torinese. In realtà Levi era anche un medico. Si laureò, a pieni voti, nel 1924 alla facoltà di medicina dell'Università di Torino. Inoltre è stato un fervente attivista politico. Fu proprio grazie o a causa di questa passione che nella sua vita irruppe la Basilicata. Un uomo il cui percorso e profilo esistenziale risulta nell'insieme abbastanza complesso. Come Pera scrisse: «L'impegno unito all'afflato lo portano in spazi più ampi. Cura i bambini di malaria perchè è medico. Dipinge ritratti e paesaggi di evidente bellezza perchè pittore. Scrive parole dense e profonde sull'Uomo, sulla Storia, su di sè e su di noi, perchè è scrittore. E anche quando Carlo Levi è politico si avverte spesso l'artista, capace di tratteggiare quando interviene dagli scranni, così come è capace di raccontare quando dipinge».
Scoprendo il Levi pittore compresi come dell'artista torinese bisogna necessariamente avvicinarsi anche ai suoi quadri, oltre che leggere le sue pagine, poichè senza una delle due anime si avrebbe una visione solo parziale della sua figura artistica. C'è una fotografia che per me rappresenta l'unione delle due personalità. Non ricordo in quale paese della Lucania venne scattata. Nella foto si vede Levi che con una mano regge una tela e con un'altra impugna un pennello. Sta camminando con altra gente, per lo più mi sembra di ricordare che fosse attorniato da bambini, nel corteo di una processione religiosa. Probabilmente mentre camminava dipingendo, chissà quanti pensieri, che poi avrà riversato sulla carta, si affollavano nella sua mente.
La vicenda umana di Levi si intreccia con quella delle genti lucane nel 1935, anno in cui fu arrestato per sospetta attività anti-fascista. Già era stato arrestato e poi liberato nel 1934. In quell'occasione alcuni artisti residenti a Parigi, tra cui Signac, Derain, Léger, Chagall, firmarono un appello per la sua liberazione. L'arresto del '35 avvenne su segnalazione di Pitigrilli, al secolo Dino Segre, infiltrato dall'OVRA, polizia segreta dell'Italia fascista, nel movimento GL, al quale Levi aveva aderito. Pitigrilli indirizzò le attenzioni della polizia sullo scrittore-pittore torinese, che lo stesso anno, poichè giudicato «Pericoloso per l’ordine nazionale per aver svolto attività politica tale da recare nocumento agli interessi nazionali», venne inviato al confino a Grassano e successivamente ad Aliano. A me piace pensare che i colori quasi irreali dei dipinti ricollegabili al periodo del confino di Levi, siano dovuti anche al fatto che il contesto in cui si trovò gli apparve come non reale, sia per la sua condizione personale di confinato sia per la condizione confinata della collettività che quei luoghi abitava. Come se Levi si fosse ritrovato obbligatoriamente confinato tra i confinati, lui per dei motivi, gli altri per altri. E che proprio sull'affinità dell'essere, diversamente, confinati sia scattata empatia. Levi scrisse:
«La Lucania mi pare più di ogni altro, un luogo vero, uno dei luoghi più veri del mondo (...). Qui ritrovo la misura delle cose (...) le lotte e i contrasti sono qui sono cose vere (...) il pane che manca è vero pane, la casa che manca è una vera casa, il dolore che nessuno intende un vero dolore. La tensione interna di questo mondo è la ragione della sua verità (...)». Descrive una Lucania quasi non toccata dalla storia, anticipando i concetti che l'antropologo De Martino conierà di storia e metastoria e di assenza di presenza, applicati al contesto regionale. Si diceva appunto dei colori, e credo che siano i colori, oltre ai tratti sfuggevoli dei paesaggi dello sfondo, a comunicare, nei suoi dipinti, estraneità a qualcosa e mistero. Perchè i volti e le persone sono raffigurate in modo abbastanza semplice e normale. Altro particolare importante sono gli occhi. Occhi sempre intensi ed espressivi, perentori, ma animati da quella tensione interna che l'autore percepiva in quelle realtà. Pur non soffermandosi sui singoli quadri esposti, appare doveroso cercare di fissare alcune caratteristiche comuni, non con l'intento di creare dei minimi comuni denominatori, ma solo per aprire una possibile strada all'incontro col Levi pittore che chi vorrà intraprenderà. Per quanto i suoi dipinti siano colmi di valori e portatori di denunce, nonchè caratterizzati da un diretto coinvolgimento con le problematiche sociali, essi sono accessibili tramite il sentimento e l'intuizione, e non tanto attraverso le razionalizzazioni sui discorsi a cui rimandano. Perchè i soggetti dei suoi quadri evocano, ed evocano molto di più di quanto ritraggono. Ad una prima impressione sembrano quadri statici, ma non lo sono. Sembrano ritratti fissi e immobili, forse come poteva sembrare il tempo della Lucania in quegli anni. Ma bisogna attivare la dimensione emotiva, che più si osserva il quadro più emerge. In alcuni quadri, poi, più ci si sofferma più si viene attratti dagli occhi. Occhi stabili, ma mai spenti, perchè decisi e ribollenti di qualcosa che non si riesce veramente a comprendere, per quanto li si osservi. Contengono qualcosa di misteriosamente primigenio. Il tutto incorniciato in sfondi particolari, formati «Dall’irruzione di calde e dense fiumane di volontà abissale entro il conchiuso spazio ed il pietrificante silenzio dei mondi delle cose dipinte (...) da una tragica caoticità, e viene fissato nel quadro mediante un congelamento istantaneo dei suoi ribollimenti nativi (...) dense arie, ove flottano i fiumi del sangue; montagne tumultuose di colore, che tepido sugo di midolla impiastriccia; sonni che non sai se di morte oppure di vita fetale; iridescenze di peritoneo su fallici gonfiori di frutti; chiome intrise di miele e di polline; schiume di latte materno; poltiglie di tenebre slabbrate dai lumi d’umide vive mucose».
Come scrisse Addeo «Carlo Levi intende l'azione del dipingere come conflitto tra l'oggettività delle immagini e le tensioni interiori, anche deformanti, che possono portare l'artista (ma soprattutto l'uomo) a una dimensione profonda, originata dal ricordo di una realtà primordiale legata alla nascita umana e del mondo. Decide di usare il colore quasi fosse una colata di magma preistorico attraverso pennellate dì grande energia».
I nove dipinti esposti in Biblioteca, che coprono un arco temporale che va dal 1953 al 1974, sono intitolati:
Antonio e il porco, 1953
Piccolo assegnatario, 1953
La madre di Salvatore Carnevale, 1956
Bambino col pane, 1953
Bozzetto 2 di Lucania 61, 1961
Contadina e asino, 1970
Manifesto Filef, 1974
Manifesto per le giornate della cultura sovietica, 1974
Autoritratto con la barba, 1972
Particolare menzione meritano i quadri «La madre di Salvatore Carnevale» e « Bozzetto 2 di Lucania 61». Il primo è dedicato a Francesca Serio madre di Salvatore Carnevale, dipinto nel 1956 un anno dopo la morte di suo figlio. Carnevale, contadino sindacalista di Sciara, venne trovato ucciso da cinque colpi di lupara, con i quali mafiosi del posto lo avevano ammazzato colpendolo volto. Il secondo, invece, è un bozzetto di quell'enorme affresco che diverrà è Lucania '61, un racconto lucano dove il protagonista è il poeta contadino, sindaco socialista e tenace voce del popolo: Rocco Scotellaro, dipinto commissionato dal Comitato per le Celebrazioni del Centenario dell'Unità d'Italia, che rappresentò la Basilicata alla mostra «Italia '61» inaugurata a torino il 6 maggio 1961
Riferendosi al suo soggiorno in Basilicata Carlo Levi ha detto: «Mi pareva di essere staccato da ogni cosa, da ogni luogo, remotissimo da ogni determinazione, perduto fuori del tempo... Mi sentivo celato, ignoto agli uomini, nascosto come un germoglio sotto la scorza di un albero (...) fu dapprima esperienza, e pittura e poesia (...) e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto». Racconto che riecheggia ancora oggi anche attraverso i suoi dipinti
Domenica 7 giugno 2015
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