Potenza | omicidio gianfredi
Stralciata la posizione di Cosentino per motivi procedurali. Per lui udienza ad ottobre
Dopo 18 anni la giustizia si è pronunciata in merito all’omicidio dei coniugi Giuseppe Gianfredi e Patrizia Santarsiero, assassinati il 29 Aprile 1997, in via Livorno a Potenza, mentre erano a bordo della loro Bmw. Sul sedile posteriore dell'auto vi erano anche due, dei tre figli, della coppia, allora minorenni, che rimasero straordinariamente illesi. Il delitto, consumato in una sera piovosa, da subito era apparso di stampo mafioso. Perchè Gianfredi era ritenuto affiliato al gruppo guidato da Renato Martorano, considerato dalla Dda del capoluogo il maggiore esponente di riferimento della 'ndrangheta in Basilicata. Secondo il tribunale di Salerno, i mandanti sono Gino Cosentino, ex capo del clan Basilischi, e Tonino Cossidente. Invece gli esecutori materiali del delitto sono Carmine Campanella, il melfitano Alessandro D’Amato e il filianese Angelo Nolè. La richiesta del Pm, il 18 giugno scorso, era stata quella dell'ergastolo per D'Amato, Cossidente, Campanella e Nolè. Il gup di Salerno, Elisabetta Boccassini, invece ha confermato il carcere a vita solo per Campanella e Nolè, mentre D’Amato e Cossidente sono stati condannati a 16 anni di carcere ciascuno. Prosciolto uno degli altri accusati, Saverio Riviezzi. Per lui era già stato disposto il non luogo a procedere nel corso dell'udienza preliminare, quando venne accolta la tesi difensiva per la quale il pignolese Riviezzi non faceva parte nè del gruppo dei mandanti nè di quello degli esecutori materiali. Per quanto riguarda Cosentino l’udienza è in programma il prossimo ottobre, la sua posizione è stata stralciata per motivi procedurali. Con la sentenza di ieri diventa attuativo anche il risarcimento chiesto dall’unica parte civile costituitasi, un parente della Santarsiero, la quale sembrerebbe però intenzionata a rinunciarvi, poichè già soddisfatta dalle condanne penali. Accolta quindi la tesi accusatoria, secondo la quale l'omicidio fu deciso perché il clan dei basilischi voleva affermarsi sul territorio e mandare un segnale al clan di Renato Martorano. Lo stesso Cossidente lo ammise. Ma all’epoca dell'omicidio molti uomini del clan rivale erano in carcere, così la scelta ricadde sui Gianfredi.
D’Amato nell’estate del 2010 si pentì e confessò questo e altri quattro omicidi. Per questo la sua pena è di soli 16 anni, e non ergastolo, per via dei benefici della sua collaborazione e della scelta del rito abbreviato. Imputato nel processo vi era anche Claudio Lisanti, deceduto. Il fascicolo sull’omicidio dei Gianfredi, contenente le confessioni dei due pentiti, D'Amato e Cossidente, era tornato a Salerno agli inizi del 2011. Un trasferimento per questioni di opportunità, viste le accuse, poi smentite, rivolte nel 1999 da un altro ex collaboratore di giustizia al consigliere comunale, ed ex dg dell’ospedale San Carlo, Michele Cannizzaro, indicato tra i mandanti, sposato con Felicia Genovese, che prestava servizio a Potenza come Pm antimafia.
Giovedì 2 luglio 2015