Commissione europea

La Commisione Europea chiede all'Italia di

consentire anche l'utilizzo di latte in polvere

La legge italiana che vieta l'utilizzo di latte in polvere, nelle produzioni di latticini e formaggi, è la n. 138 11 aprile 1974. La Cia di Basilicata protesta contro la Commissione Europea

di Ferdinando Moliterni

Latticini e formaggi
Latticini e formaggi

Per comprendere meglio la tematica è necessario chiarire il percorso che ha portato alla situazione attuale.

La Commissione Europea a fine novembre 2013 aveva richiesto informazioni, riguardo la normativa che regolamenta la produzione di latte UHT e dei prodotti lattiero caseari, all'Italia, la quale ha risposto a febbraio 2014. Alla base di tale richiesta vi era stata un'interrogazione parlamentare a risposta scritta, risalente al gennaio 2013, da parte dell'eurodeputato, eletto con la Lega Nord, Oreste Rossi. Quale sia stata l'origine dei suoi dubbi non è nota, di fatto Rossi pose un quesito alla Commissione Europea riguardante l'utilizzo o meno di latte in polvere nelle produzioni italiane:

«In Italia la legge 11 aprile 1974 n. 138 vieta la detenzione, la commercializzazione e l’utilizzo del latte in polvere e di latte conservato con qualunque trattamento chimico, o comunque concentrati, per la produzione di latte UHT e dei prodotti lattiero caseari. Tale posizione italiana è stata riconfermata dal decreto legge 175/2011 per il recepimento della direttiva Ue 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana.

Le aziende produttrici di yogurt (per la cui produzione il latte concentrato è un ingrediente essenziale) in Italia, sono, quindi, obbligate a trasportare una quantità di latte maggiore di quella di cui avrebbero bisogno perché, a causa della citata legge, non possono operare il processo di concentrazione all’origine e poi trasportare il prodotto negli stabilimenti.

Questa normativa crea un ingente danno economico e competitivo alle aziende, essendo un ostacolo all’ottimizzazione dei costi logistici e ad una maggiore efficienza del processo produttivo. Inoltre, in base ai principi di libera circolazione nel mercato interno, si viene a creare una situazione di disparità rispetto ad altri paesi europei, come ad esempio Belgio e Francia, che possono utilizzare latte concentrato per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari.

Può la Commissione far sapere se ritiene che la permanenza in vigore in Italia della legge 11 aprile 1974 n. 138 e il recepimento della direttiva 2007/61/CE siano in linea con il diritto dell’Unione europea?»

Il 28 maggio scorso la Rappresentanza permanente d'Italia presso l’Unione europea ha ricevuto una lettera di costituzione in mora da trasmettere al ministro agli Affari esteri, per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, così come previsto dalla legge nazionale del 1974, perchè per la Commissione Europea la norma italiana rappresenta una restrizione alla «libera circolazione delle merci». Si tratterebbe di adeguare la normativa nazionale a quella europea e quindi di consentire anche l'utilizzo di latte in polvere. Ma non di imporlo. Evidentemente i produttori italiani che lo faranno, decideranno di farlo sulla base di interessi economici e non certo per diktat europei. E in ogni caso la nuova normativa non verrebbe comunque applicata per i marchi Dop. 

A livello nazionale la Coldiretti fa sapere che ritiene l'Italia nuovamente sottoposta ad «un ditkat di un'Europa che è pronta ad assecondare le lobby. Vogliono costringerci ad abbassare gli standard qualitativi dei nostri prodotti alimentari. Vogliono imporre all’Italia di produrre formaggi senza latte ottenuti con la polvere, come hanno imposto di fare cioccolato senza burro di cacao». E Giorgio Apostoli, responsabile del settore Latte di Coldiretti, sostiene che «Bruxelles impone un adeguamento al ribasso dei formaggi e degli yogurt italiani. È vero che esistono i prodotti Dop e Igp, ma costano di più e noi garantiamo la qualità anche ai prodotti comuni». 

Le reazioni a livello regionale

«Come se non bastasse la concorrenza illegale contro la produzione dei formaggi lucani che aderiscono ai Consorzi di tutela (Pecorino di Filiano DOP, Canestrato di Moliterno IGP e Caciocavallo Silano DOP), vale a dire la libera circolazione nei supermercati di prodotti contraffatti, il diktat dell'Unione Europea che vuole obbligarci a produrre latticini e prodotti caseari di diverso genere senza l’uso di latte è una nuova mazzata ai nostri prodotti lattiero-caseari di punta, i formaggi freschi a pasta filata, come i formaggi stagionati, caciocavallo, canestrato e pecorino, su tutti». È quanto afferma la Cia di Basilicata in una nota a firma di Luciano Sileo, responsabile Ufficio Zootecnia-latte della confederazione. In Basilicata – riferisce la Cia - la trasformazione del latte vede coinvolte 135 aziende lattiero-casearie distribuite con una maggiore incidenza nel Potentino (90 aziende) rispetto al Materano (45), ed organizzate in maniera da presentare all’interno della propria struttura ogni fase della filiera a partire dall’allevamento (46% delle aziende lattiero casearie censite dall’Alsia). La produzione lorda del latte in Basilicata nel 2012 ammonta ad oltre 28 Meuro, pari al 21% dell’intera produzione lorda attribuibile al settore della zootecnia (circa 162 Meuro), di cui 19,3 Meuro sono attribuibili al latte di vacca e di bufala (quest’ultimo allevamento è però poco diffuso in Basilicata) e 8,9 Meuro derivano dalla vendita del latte di pecora e di capra. «In un momento in cui il rapporto fra il prezzo del latte alla stalla e il suo costo di produzione ha raggiunto livelli inaccettabili per gli allevatori, l'Europa vara una misura che permette l’utilizzo di latte in polvere nella produzione di derivati. Tutto ciò mentre le aziende zootecniche che ancora oggi continuano a produrre –aggiunge Sileo- sono, certamente, quelle più efficienti e maggiormente orientate al mercato e la cui crescita, registrata in questi difficili anni, è un segnale di fiducia nella tenuta del settore. Il latte fresco – come quello lucano che viene conferito a grandi e prestigiose imprese nazionali - è già quasi tutto ottenuto a partire da latte crudo proveniente da allevamenti italiani. Pochi forse sanno che il latte fresco del marchio prestigioso è di provenienza da stalle della Val d’Agri o del Melandro o della Collina Materana. Il fresco non può viaggiare molto, deve essere confezionato entro 48 ore e quindi giocoforza le industrie devono fare ricorso ai produttori locali. Il problema vero è conoscere l'origine del latte importato (8,6 milioni di tonnellate) utilizzato nelle produzioni di latte UHT o per preparare mozzarella e formaggi venduti come made in Italy. Il settore lattiero-caseario è una colonna portante dell'economia agroalimentare nazionale e lucana: l'Italia annovera circa 35.000 aziende, di cui meno di un migliaio in Basilicata per una produzione (2013) di 184 tonnellate di latte vaccino. È perciò necessario dare stabilità al settore definendo un prezzo del latte con un contratto semestrale o, al massimo, quadrimestrale, al fine di consentire agli allevatori di poter avviare la programmazione a medio termine. La nuova programmazione dello sviluppo rurale rappresenta – prosegue la Cia - un’opportunità da non perdere per avviare programmi di innovazione e investimenti per una zootecnia a basso input energetico. Questa però deve essere anche l’occasione per sviluppare efficaci sistemi di gestione del rischio e stabilizzazione dei redditi. Di qui l’attualità di un Piano regionale per il comparto zootecnico, da aggiornare con le misure del nuovo Psr 2014-2020, e di un programma di consolidamento e rilancio del sistema agroalimentare e industriale legato alle produzioni locali tipiche e di qualità. In Basilicata il sistema di raccolta del latte alla stalla è particolarmente frammentato. La campagna 2010/2011 indica un’evidente prevalenza di imprese private (529) sulle cooperative (89) che, tuttavia, non è abbinata ad un analogo riscontro nei quantitativi di latte raccolto: le imprese cooperative, infatti, ritirano il 14,5% in più del latte raccolto complessivamente dai privati (688.232 t di latte consegnato alle cooperative rispetto alle 600.984 t di latte consegnato ai privati). Il sistema di raccolta di latte bovino fresco attuato nella zona di Bella-Baragiano merita, invece, una attenzione specifica in quanto, rispetto agli standard di raccolta effettuata nelle altre aree del Mezzogiorno e delle Isole, si caratterizza per la presenza di un presidio dell’intera filiera produttiva che consente di attuare, insieme ai produttori, una programmazione mirata, fortemente orientata alla qualità. Analizzando l’evoluzione della struttura della zootecnia da latte nell’arco del decennio considerato, l’andamento regionale indica che a cessare l’attività sono soprattutto le aziende con meno di 50 capi, sebbene la contrazione maggiore si osservi per quelle che detengono meno di 10 capi (Basilicata: -58,5%; Italia: -41,7%). Quanto al numero dei capi, passati da 22.083 unità del 2000 a 22.546 del 2010, è possibile evidenziare una variazione positiva, seppur minima, del 2,1%. Tale andamento, abbinato alla contrazione del numero di aziende, si traduce in un aumento della dimensione media dei capi per azienda: 23,43 capi per aziende nel 2010 contro i 12,78 nel 2000.

Martedì 30 giugno 2015